Nato nel 1894 da una famiglia ebraica a Brody, nei pressi di Leopoli, per un ventennio (dalla fine degli anni Dieci fino alla morte nel 1939) Joseph Roth si è rivelato acuto osservatore e raffinato cantore della società contemporanea, da scrittore così come da giornalista.
Il suo percorso da intellettuale girovago (trascorre periodi in Ucraina, Austria, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi) è a tratti enigmatico. Passa dalle simpatie socialiste della prima giovinezza all’attivismo reazionario per la restaurazione della monarchia asburgica, percepita come ultima possibile forma di opposizione all’ascesa del nazionalsocialismo, contro cui, lucidamente, manifesta dal principio assoluto dissenso.
Per dare maggiore prestigio alla propria opinione politica forgia una storia personale in parte fittizia: inventa un passato di ufficiale dell’esercito autro-ungarico durante la Grande Guerra, laddove era stato un volontario annuale, e racconta le pene patite durante una prigionia mai vissuta. Questo eccentrico alternarsi di verità e autorappresentazione è ricorrente nei suoi romanzi. Ve ne proponiamo alcuni.
Stefan Zweig and Josef Roth in Ostende
Lo stile dei libri di Joseph Roth
Non è facile attribuire ai libri di Roth un orientamento stilistico nella letteratura contemporanea. Si è discusso del legame con la corrente tedesca della “Nuova Oggettività”, più evidente nei primi lavori. Nella prefazione al romanzo Fuga senza fine è lui stesso che scrive:
«Io non ho scoperto nulla, inventato nulla. Non si tratta più di "scrivere". La cosa più importante è ciò che viene osservato».
D’altro canto, si rifiuta di rinunciare alla forma artistica e critica la letteratura che si limita ai “nudi fatti”, mettendo a confronto la “testimonianza” con il “resoconto”: Roth definisce la “testimonianza” come la materia grezza in cui si deve infondere senso e dignità letteraria perché divenga “resoconto”. Ne scaturisce uno stile oggettivo, minuzioso nella descrizione del particolare ma non prolisso, estremamente elegante.
Joseph Roth aedo della fine dell’impero: La marcia di Radetzky
I due romanzi che hanno consacrato Roth a cantore della dissoluzione dell’impero asburgico sono La marcia di Radetzky e La cripta dei Cappuccini, suo seguito ideale, sulle vicissitudini della nobile famiglia von Trotta.
La marcia di Radetzky è incentrato sul rapporto tra tre generazioni. Joseph von Trotta riceve il titolo di barone dopo aver salvato la vita al giovane imperatore Francesco Giuseppe durante la battaglia di Solferino. L’improvvisa ascesa sociale lo estranea dal suo ambiente originario, cui rimane legato e al tempo stesso rifugge.
Il figlio Franz interpreta il ruolo di alto funzionario con ligio rispetto dei valori monarchici, restio a prendere atto dei mutamenti già in atto in una struttura sociale destinata al collasso.
Il terzo, il giovane Carl Joseph, protagonista dell’opera, soldato relegato in una guarnigione ai confini dell’impero, conduce una vita vana e dissoluta, rifugiandosi nell’alcol e nel gioco per esorcizzare una fine inevitabile.
La cripta dei Cappuccini
La cripta dei Cappuccini segue le vicende di un cugino di Carl Joseph, Francesco Ferdinando von Trotta, rampollo della Vienna aristocratica con una fascinazione per la semplicità di un mondo rurale che sta scomparendo.
Allo scoppio della Grande Guerra richiede il trasferimento dalla cavalleria ad un reggimento di fanteria per essere vicino agli amici di estrazione più umile.
Ritornato a Vienna dopo le peripezie del conflitto, si trova a fare i conti con il tracollo della struttura sociale imperiale, con la piccola nobiltà squattrinata e senza professioni. Roth descrive le difficoltà di adattamento a questo nuovo mondo, tra gli anni Venti e l’annessione alla Germania nazista.
Joseph Roth e la cultura ebraica: Giobbe. Romanzo di un uomo semplice
La nostalgia per la comunità ebraica in cui Roth è cresciuto pervade Giobbe. Protagonisti sono i componenti della famiglia Singer: il padre Mendel, uomo devoto che insegna la Torah ai bambini, la madre Deborah, i figli Jonas e Schemarjah, la figlia Mirjam e il piccolo Menuchim, malato di epilessia, maltrattato dai fratelli e considerato dai genitori un fardello.
La scarsa devozione a Dio di Deborah, le disavventure in guerra dei figli più grandi e la psicosi di Mirjam mettono alla prova la fede di Mendel. La vitalità e la prospettiva di una vita serena e una morte tardiva ritorneranno grazie ad un incontro insperato.
La leggenda del Santo Bevitore: il racconto autobiografico di Joseph Roth
Andreas Kartak era fuggito dall’Europa dell’est, dove faceva il minatore, dopo aver ucciso il marito dell’amante. Ora vive da clochard sotto i ponti della Senna. Una sera riceve da un passante 200 franchi, ma, da uomo dignitoso quale rimane nonostante le condizioni, si impegna a restituirli.
Il suo impegno si scontra però con i suoi numerosi vizi: la passione per il gioco, le donne e le bevute con gli amici scrocconi. Nei suoi ultimi giorni Andreas è protagonista di diversi piccoli miracoli che lo aiuteranno a rimettersi in sesto: incontri inaspettati, fortuiti ritrovamenti di denaro. La sua grande forza è quella di saper accogliere le stramberie dell’esistenza.
Roth ed Andreas si somigliano. Entrambi provenienti dai territori dell’impero asburgico, frantumato dopo la prima guerra mondiale. Consumati dall'abuso di alcol eppure magicamente attaccati alla vita e ai suoi inspiegabili eventi. Pieni di speranza e sicuri del proprio valore, nonostante il giudizio altrui.
Questi sono dei piccoli esempi delle pagine di grande raffinatezza e forza vitale che Joseph Roth ci ha lasciato. Lettura vivamente consigliata.